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Epicondilite o " Gomito del tennista"

Definita anche epicondilite inserzionale o epicondilite laterale, è un’infiammazione dei tendini dei muscoli estensori presenti nell’avambraccio che si inseriscono sull’epicondilo (sporgenza ossea nell’estremità infero-laterale dell’omero). Ha la sua massima insorgenza tra i 30 e i 50’anni, anche se chiunque può essere colpito qualora vi siano i relativi fattori di rischio.

Il gomito, articolazione intermedia dell’arto superiore, collega braccio ad avambraccio. Essendo un’articolazione a “cerniera” ha come movimento principale la flesso-estensione. E’ composto da 3 ossa, la porzione distale (inferiore) dell’omero si articola con la porzione prossimale (superiore) di ulna e radio, quest’ultime, a loro volta, costituiscono l’articolazione radio-ulnare prossimale che, in collaborazione con l’articolazione radio-ulnare distale, permettono il movimento di prono-supinazione.

 

Il gomito è un’articolazione piuttosto stabile. Fatta eccezione per traumi che possono provocarne fratture, le patologie più frequenti a suo carico sono di carattere muscolo-tendineo. E tra queste vi è l’epicondilite.

 

Quali sono i sintomi e le possibili cause???

 

Questa patologia è spesso causata da un sovraccarico funzionale, ed è tipica dei soggetti che, a causa di particolari attività professionali o sportive, provocano continui stress al gomito.

Tra questi troviamo i tennisti dal quale deriva il nome popolare di “gomito del tennista”, ma non solo. Colpiti sono anche schermidori, motociclisti, tutti gli sport di lancio ecc. Tra le attività lavorative si possono citare pittori, musicisti, baristi addetti alla macchina del caffè, parrucchieri, sarti, muratori, idraulici e tutti quei lavoratori costretti a ripetere determinati movimenti con l’arto superiore.

 

Altra categoria fortemente a rischio sono tutti coloro che passano tante ore al pc come studenti ed impiegati, questo perché il prolungato utilizzo del mouse può portare ad un sovraccarico dei muscoli epicondilei.

Tra le altre possibili cause di epicondilite ci sono le problematiche del rachide cervicale e le cadute sulla mano a gomito esteso.

 

Essendo una problematica principalmente da sovraccarico, o “over-use syndrome”, i sintomi si sviluppano gradualmente.

Nella maggioranza dei casi il dolore in fase iniziale è di lieve intensità e si avverte soprattutto quando si compiono movimenti di estensione del polso contro resistenza (come accelerare in moto, aprire un barattolo o una bottiglia).

Può avere fasi di acutizzazione come scomparire per giorni, proprio per questo il paziente tende a sottovalutarlo.

Successivamente la manifestazione dolorosa può essere sempre più costante, irradiarsi lungo l’avambraccio e persistere anche a riposo, determinando la progressiva riduzione della funzionalità di gomito, polso e mano.

 

A chi rivolgersi e quali sono gli approcci terapeutici???

 

La diagnosi è pressoché clinica, quindi è consigliabile rivolgersi al proprio medico o ad un fisioterapista qualificato.

 

Durante la valutazione verrà eseguita un’accurata anamnesi e dei test per escludere altre possibili problematiche. Può essere indicata una Rx per valutare la presenza di calcificazioni intratendinee o artrosi del gomito. Tuttavia, essendo coinvolti i tessuti molli, l’ecografia e la risonanza magnetica (RM) restano le più indicate nel caso si sospettasse di danni gravi ai tendini.

 

L’approccio terapeutico è sicuramente conservativo.

 

In una fase iniziale, dato che il dolore è frutto di un sovraccarico dovuto ad un’attività ripetitiva, questa dovrebbe essere sospesa o quantomeno ridotta. Il riposo associato a impacchi di ghiaccio può essere già risolutivo, soprattutto nei primi periodi di insorgenza del dolore.

 

Se il dolore non passasse nel giro di pochi giorni sarebbe consigliabile rivolgersi al medico che potrebbe prescrivere paracetamolo o farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS). Altra possibilità è l’utilizzo di farmaci ad uso topico come pomate o gel.

 

Spesso, se non è possibile interrompere l’attività lavorativa è consigliato l’utilizzo di tutori che hanno lo scopo di alleviare i sintomi “spostando” il punto di inserzione tendineo tramite compressione.

 

Può essere utile inoltre, effettuare cicli di terapie fisiche come ultrasuoni, laser ed onde d’urto che possono aiutare a lenire dolore ed infiammazione.

 

Tuttavia, a queste cure “passive”, si deve associare un mirato percorso fisioterapico che prevederà terapia manuale, stretching, esercizi terapeutici mirati al rinforzo della muscolatura coinvolta, in modo da riportare tendini e muscoli a sopportare carichi via via maggiori, fino al completo recupero.

La fisioterapia risulta indispensabile perché, non solo permette di recuperare appieno la funzionalità dell’arto, ma rappresenta l’unico mezzo per prevenire le recidive.

 

Alla terapia infiltrativa vi si ricorre solamente in quelle situazioni in cui il dolore è tanto forte da non permettere il trattamento manuale o qualsiasi tipo di esercizio terapeutico. Le infiltrazioni di cortisone, un tempo molto comuni, sono attualmente sempre meno praticate in favore di infiltrazioni di acido ialuronico o concentrati piastrinici.

 

Infine, l’intervento chirurgico risulta essere l’ultima opzione e pertanto si pratica su un numero limitatissimo di casi, ovvero tutti quelli in cui l’approccio conservativo e fisioterapico non siano risultati efficaci dopo almeno 12 mesi di trattamento. A seguito dell’operazione va utilizzato un tutore ed intrapreso un percorso fisioterapico fino al recupero completo della funzionalità del braccio.